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IL GIORNO CHE AVREI VOLUTO VIVERE

3 giugno 1968 / L'agguato che portò Warhol nel mito

di Serena Danna

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29 agosto 2009

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Dal viavai del sesto piano capisco che la situazione è grave: lo sta seguendo un medico di origini italiane, Giuseppe Rossi che ha detto di Andy «clinicamente morto». Le due pallottole della calibro 32 gli hanno trapassato lo stomaco, il fegato, la milza, l'esofago e i polmoni. Sento che hanno portato Fred e Paul alla polizia per interrogarli e che Valerie cammina in mezzo alle macchine per strada. Vera Cruise racconterà che la Solanas poche ore dopo andò a costituirsi da un vigile urbano.

Esattamente quattro anni fa, il 4 giugno 1962, Andy era a pranzo al Serendipity sulla Sessantesima con Henry Geldzahler, il curatore della sezione arte del XX secolo al Moma, uno dei primi che lo incoraggiò a continuare con la sua ricerca: all'inizio della sua carriera il commento tipico dei critici alle opere di Warhol era: «Is this a joke?» (È uno scherzo?).
Henry aprì il Daily News sul tavolo e il titolo in prima pagina era "Centoventinove morti su un jet": quel titolo ispirò la serie sulla morte Death and Disasters.

Andy parlava poco ma raccontava spesso quell'episodio seduto sul divano mentre la sua corte lo divertiva con aneddoti e stranezze. Amava la ripetizione, ma ancora di più forse la rappresentazione della morte. Oggi la morte l'ha incontrata, e lotta nella sala operatoria di un ospedale.
La gente si accalca sul marciapiede: giornalisti, fan e passanti. Tutti guardano dentro sperando di capire cosa è successo. «Se ci tieni alla tua privacy – dirà Andy – non farti mai sparare, perché in men che non si dica la tua vita privata diventa una faccenda di dominio pubblico».

Il giorno dopo, verso l'una di notte, i poliziotti che stanno mettendo i sigilli ovunque, sono confusi, spaventati: entrano ed escono dalle stanze. Allora penso che Andy è morto, che l'operazione è andata male. Era troppo esile per resistere a una botta del genere, e poi in America è iniziata la stagione delle morti eccellenti, dei miti che se ne vanno presto: due mesi fa hanno ammazzato Martin Luther King.

Come avrebbe rappresentato la sua fine? Non ho mai sentito nessuno fargli questa domanda.
Mentre questi pensieri mi rimbombano tra finestre e porte, capisco che non è morto Andy. Hanno sparato a Robert Kennedy! Il senatore era a Los Angeles per festeggiare la vittoria delle primarie in California, la Casa Bianca è vicina ormai. Ma un uomo si è introdotto all'Ambassador Hotel e l'ha ucciso.
Andy apprenderà la notizia all'uscita della sala operatoria. L'operazione è riuscita: Andy si salverà, Bob invece morirà.

Il sogno di Kennedy, che credeva negli americani, pronunciava parole come "compassione" e "amore" e voleva continuare la strada di John (interrotta tragicamente nel novembre del 1963) si sgretola, aprendo così l'era Nixon della storia statunitense. Mentre il progetto di Warhol, che aveva fatto delle contraddizioni della società un'arte, vive. Da quel momento la sua creatività si trasforma in un business. Fu un Warhol diverso quello degli anni Settanta, e io ne vidi il passaggio: basta con l'art pour l'art. Smise di filmare per passione e di accogliere per curiosità, divenne un manager, il migliore degli Stati Uniti. Non più vagabondi e disperati di talento da 15 minuti, le Factory che vennero dopo di me ospitarono persone destinate a diventare macchine da soldi: Jean-Michel Basquiat, Keith Haring, una giovanissima Louise Veronica Ciccone in arte Madonna. La paura che Valerie potesse provare ad ammazzarlo di nuovo gli tolse un po' di fiducia nei bassifondi della creatività.

Oggi che Union Square è diventata una zona posh della città e ospito tra le mie mura un negozio con quattromila vini diversi, uno studio di "archistar" e manager dell'alta finanza (e mi è andata bene, considerando che la Silver Factory, in vendita dal 2008, non trova neanche un acquirente: in un anno il prezzo dell'appartamento è sceso da 5,99 a 3,99 milioni di dollari!), oggi che tutti si chiedono come Andy avrebbe usato Twitter – lui che aveva capito le potenzialità del networking prima delle aziende e delle persone – io mi chiedo, invece, cosa sarebbe successo se in quei giorni, invece di Andy, fosse sopravvissuto Bob. La storia non si fa con i se. Io non sono uno storico ma solo un palazzo fortunato al 33 di Union Square.

29 agosto 2009
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